film d’archivio

Strabiche news: “Eccedance” l’anarchivio di Enrico Ghezzi

Enrico Ghezzi, Malastradafilm, Zomia e H12 si sono uniti in una Redazione per realizzare un progetto ambizioso: Eccedancela produzione del “(non) film” Gli ultimi giorni dell’umanità, realizzato a partire dalla digitalizzazione del ricco archivio audiovisivo di Ghezzi o, come lo definisce lui stesso, del suo “anarchivio“.

Per l’occasione è stata assemblata La Macchina che cattura l’eccedenza, descritta così sul sito del progetto:

“è un dispositivo video elettrico pensato sulla base del funzionamento di uno studio televisivo. Con la differenza che, al posto delle telecamere di un normale studio TV, qui ci sono delle postazioni di montaggio: alla regia, dunque, non arriva un soggetto ripreso dagli operatori, ma l’output del lavorio di editing svolto dai montatori”. 

Guardando le foto della Macchina con i suoi cavi intrecciati, i mixer e gli schermi che parlano di anni e di formati differenti, ho pensato alle installazioni artistiche anni ’80 e ’90.

D’altronde, l’archivio del creatore di Blob e di Fuori Orario copre 30 anni di tecnologia e di cultura audiovisiva/cinematografica e credo che non sarebbe una cattiva idea fare della Macchina un’installazione “video elettrica” da esibire.

L’intento della Redazione di Eccedance è quello di catturare l’eccedenza dell’archivio, di digitalizzarlo ed esplorarlo realizzando un film vertoviano, un’ impresa tutt’altro che facile perché l’archivio in sé stesso è qualcosa di vivo e in moto perpetuo, un insieme di porte che si aprono, si chiudono e che possono aprirne altrettante contemporaneamente .

Ghezzi in un incontro con il magazine Sentieri Selvaggi ha dichiarato: “l’archivio si re-mosaicizza automaticamente”.

Quello sugli archivi è un lavoro immane, di infinite possibilità e visioni.

Per il progetto è stata creata una campagna di crowdfunding che rimarrà attiva fino al 31 gennaio 2020 e alla quale ho aderito con entusiasmo.

Quando ho scoperto l’esistenza di questo progetto, il pensiero è volato d’istinto al Mnemosyne di Aby Warburg ed al suo prezioso Atlante di tavole fotografiche che dialogano tra loro grazie al montaggio.

Spero di vedere presto l’ Atlante di Ghezzi, magari alla Biennale Cinema del 2020.

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Angela Ricci Lucchi, grazie per “la scossa elettrica”

Ieri ho appreso la triste notizia della dipartita della grande artista e filmmaker italiana Angela Ricci Lucchi. L’artista, insieme al compagno Yervant Gianikian, ci ha regalato immagini preziose e bellissime.

Oggi, mentre ascoltavo “Knocking on the heaven’s door” di Bob Dylan, ho pensato subito a lei, a quando la conobbi a Venezia durante una Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, all’emozione provata nel stringerle la mano, a quando la ascoltai durante un evento a Milano, al suo affascinante cinema fatto di profumi, archivi e memorie in continuo dialogo col presente.

Qualche mese fa ho perso la presentazione dell’ultimo libro dedicato al cinema della coppia italiana del found footage. Pensavo di avere un’altra occasione per ascoltare i racconti coinvolgenti dell’artista e dei suoi viaggi a caccia di oggetti, immagini e memorie. Che errore dare per scontato il tempo.

Il titolo di questo breve ma sentito post, riporta la citazione di un’ intervista fatta ai due artisti, nella quale Gianikian spiega da cosa dipenda la durata e la dimensione temporale delle immagini nei loro film:

“È un processo che è sempre variabile. È un processo che ha un punto di partenza che è quello dell’osservazione manuale, e però è dato dalla natura dell’immagine, da quella scossa elettrica che l’immagine ci provoca. La durata è in relazione a questo.” (1)

Quella scossa elettrica la provai la prima volta che vidi un film della coppia. Quella scossa mi spinse a dedicare la tesi di laurea al lavoro dei due artisti italiani. Riporto qui sotto le conclusioni della mia tesi di laurea, un piccolo e umile omaggio all’artista scomparsa:

“CONCLUSIONI

La scoperta del found footage film e soprattutto il lavoro dei due cineasti italiani Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, hanno risposto allo scopo della ricerca intrapresa  sull’uso delle immagini d’archivio documentarie. Grazie alle informazioni raccolte e ai film visionati, si è entrati in contatto con un mondo cinematografico affascinante, abitato da cineasti-artigiani che amano il cinema e la sua materia prima, la pellicola cinematografica.

Le immagini dei film della Trilogia della Guerra colpiscono particolarmente per la loro bellezza visiva e la forza espressiva che emanano. Sono film non facili da guardare, non solo per la loro struttura complessa e il loro ritmo lento, difficile per uno spettatore del terzo millennio, ma per ciò che mostrano, il dolore e la sofferenza di uomini, donne e bambini. I cineasti provano pietà per questi anonimi e propongono le loro sofferenze perché vogliono ricordare al pubblico che esse non sono passate, ma persistono tutt’oggi.

I volti dei protagonisti dei loro film non lasciano indifferenti.

Gli sguardi dei bambini del film “Oh!Uomo” sono difficili da dimenticare.

Se qualcosa colpisce, si indaga, si entra dentro l’argomento come fanno i due filmmaker con il fotogramma.

Questo approfondimento nasce da una “scossa elettrica”.” (2)

 

Ciao e grazie.

 

(citazione 1: Dottorini, Daniele, (a cura di), “Archivi che salvano. Conversazione (a partire da un frammento) con Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi”, Fata Morgana , n. 2, maggio-agosto 2007, p. 14; citazione 2: mia tesi di laurea “Found Footage Film: la Trilogia della guerra di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi”, 2009.)