“Cinematic public enemy number one” Joseph Goebbels riguardo al film
La Grande illusion, 114′, Jean Renoir, 1937.
2014, l’anno dell’ anniversario dello scoppio della Grande Guerra. Pensando a un riferimento cinematografico relativo alla Prima Guerra Mondiale, il mio pensiero è andato a Jean Renoir e al suo La Grande Illusion. Ho scoperto che il mitico laboratorio l’Immagine Ritrovata di Bologna ha restaurato il negativo originale del film e lo ha presentato al pubblico a marzo. Il negativo originale è stato considerato perduto per decenni e addirittura distrutto dai nazisti negli anni ’40. In realtà, il film venne portato a Berlino dai nazisti per essere probabilmente distrutto, ma i loro piani furono fortunatamente scombinati dall’Armata Rossa che, una volta entrata in città, si impossessò di molte pellicole cinematografiche e le portò a Mosca. Direi che è una bella notizia, per cui via con la ola e il giro di samba! Ripreso fiato, si può affermare che la nuova versione digitale restaurata coincide con quella realizzata e voluta dal suo autore, quella che il regista stesso cercò di ricostruire senza successo negli anni ’50, avendo come riferimenti solamente alcune copie sonorizzate in diverse lingue, le uniche che riuscì a recuperare. La ricostruzione della versione originale era un’impresa difficoltosa, non solo perché non si trovava il negativo originale, ma anche per i ripetuti tagli di censura subìti dalla pellicola. Infatti, nonostante il successo di pubblico e di critica e la vittoria di un premio speciale al Festival di Venezia del 1937 (il ‘Premio del miglior complesso artistico’) la pellicola fu censurata. Il primo pacchetto di tagli riguardò le scene che si riferivano alle malattie veneree, in seguito la censura si preoccupò del messaggio pacifista del film. In un momento storico in cui trionfavano sentimenti profondamente aggressivi, fortemente nazionalistici e colonialistici, un film pacifista non poteva essere apprezzato dalle autorità. Come risultato, il film fu censurato e proibito in molti paesi europei, ad esempio in Germania, Giappone, Ungheria e Austria. Anche la Francia occupata ne proibì la distribuzione, perché non era tollerabile che un film rappresentasse una possibile convivenza fraterna e pacifica tra francesi e tedeschi. La stessa cosa si ripeté in Italia:
“Luigi Freddi, dal 1934 al marzo 1939 preposto alla Direzione generale per la cinematografia e successivamente vicepresidente e consigliere delegato di Cinecittà, vietò il film qualificandolo come ‘film caratteristicamente politico, espressione di quella mentalità rinunciataria, quietista, antieroica che è appesa allo straccio bianco del pacifismo […] mentalità codarda’, e ravvisandovi ‘tracce di elementi disgregatori, corrosivi, che agiscono in maniera quasi capillare, per lenta penetrazione”.” (1)
Finita la guerra, tornata la pace, le fisse censorie contro il film continuarono. Nel 1946, fu distribuita in Francia una nuova versione censurata, nella quale erano state ridotte le sequenze in cui i tedeschi venivano rappresentati con simpatia e la stampa di sinistra del periodo criticò ferocemente e in modo paradossale lo spirito pacifista del film. In Italia, il film venne riproposto nel 1947, censurato naturalmente e sul sito del Cinema Ritrovato si afferma che l’ultimo passaggio di censura fu firmato da Giulio Andreotti, noto per essere stato un grande inquisitore, ehm, censore di pellicole cinematografiche.
Ripercorrere la storia e la vita di questo film significa ricordare e ripercorrere una porzione significativa del ‘900. Il film ha subìto i pregiudizi e le prepotenze legate alle principali ideologie sviluppatesi nel secolo scorso, è sopravvissuto al nazi-fascismo, è stato salvato dall’Armata Rossa, ha patito il moralismo comunista, ha attraversato il Muro ed è tornato finalmente in vita.
(Cit: citazione d’apertura e la citazione 1 )